Content Creation e Content Curation: sicuri di sapere cosa è più importante?
Ormai è scontatissimo parlate di content marketing, nel senso che se qualcuno che parli di marketing online non si occupa di content marketing sappiamo tutti che sta sbagliando qualcosa.
Fiumi di articoli sono scritti ogni giorno su questo argomento, guide e tutorial e sull’indiscutibile utilità, anzi, sulla fondamentale importanza del content marketing.
Come sempre però, c’è un problema. Un un problema “filosofico” che può diventare incredibilmente tecnico e pratico. Il cosiddetto “overload informativo” è un problema teorizzato da psicologi e sociologi e in parole povere può essere espresso in questo modo: quando il cervello riceve troppe informazioni si blocca e diventa incapace di operare una scelta. Non per niente overload, che in inglese sembra chissà cosa, significa esattamente sovraccarico. Vediamo come funziona nella pratica:
- Un utente cerca un hotel in una determinata località turistica su Google e si trova migliaia di pagine di risultati pertinenti. Apre qualcuno dei siti e dei blog che vede per primi e vede anche qui tantissimi articoli e non sa cosa leggere prima. Piuttosto che fare una scelta in questo mare qualcuno spegne il pc e chiama ad un amico chiedendogli “senti in che hotel sei stato tu quando sei andato in vacanza a….”.
- Ho 10 pdf tutti dello stesso argomento sul desktop del pc, e so anche che posso reperirne altri gratuitamente. Questo mi porta sostanzialmente a non sapere esattamente da dove iniziare a leggere. Mi capita spesso di aprirne uno, poi spulciarne un altro e non sapere effettivamente a quale dedicarmi seriamente.
Tutto questo è esattamente un caso di overload informativo, argomento che merita di essere approfondito in separata serie, comunque possiamo dire che:
l’incapacità di scegliere è la morte del marketing.
Un potenziale cliente che non riesce a scegliere evidentemente non comprerà nulla. Così è più chiaro?
Oltre che incoraggiare la creazione di contenuti una strategia di content marketing dovrebbe avere a che fare anche e (forse) sopratutto, con la content curation.
Fare content curation significa fare tutto quanto per rendere più ordinato e meno caotico il mare di informazione reperibile sul web e/o sul nostro sito, blog o pagina social:
- dirigere in qualche modo l’attenzione
- creare ordini di contenuti che non siano solo semplicemente cronologici
- suggerire all’attenzione di chi li visualizza un ordine o un importanza che permetta effettivamente di iniziare con la fruizione del contenuto senza perdersi
- permettere all’utente di trovare nel modo più facile possibile quel che desidera
Significa saper riproporre contenuti che altrimenti rischiano di perdersi e diventare inefficienti, inutili, morti.
Scoop.it la più famosa piattaforma dedicata alla content curation per ordinare, salvare e scoprire nuovi contenuti, tirando un poco “acqua al suo mulino” ha pubblicato a fine 2014 un interessante report intitolato “A Look at ROI: what is the place of curation in SBMs’ content marketing mix?” (Uno sguardo al ROI: qual’è il posto per la curation nelle strategie di marketing delle PMI?).
Il report prende in analisi le risposte ad alcuni sondaggi fatti da Scoop ad i suoi clienti PMI con risultati molto interessanti. Uno di questi è che per esempio anche se quasi due terzi degli investimenti e del tempo del content marketing vanno via per la creazione di contenuti originali alla fine il 76% del volume di pubblicazioni proviene più dalla content curation che dalla creazione.
Questo in barba a quanti dicono che la content curation sia inutile e che il focus principale sia la creazione di nuovi contenuti “di qualità” (un concetto che nel tempo diventa sempre più relativo). Leggendo tutto il report si arriva all’ovvia conclusione che un mix di content curation e content creation è il meglio che si possa fare, e che la content curation è una attività più economica che pur assorbendo meno tempo e risorse può rimpinguare il nostro portfolio di pubblicazioni, cosa che serve molto alle PMI.
Queste conclusioni diventano più interessanti se unite al discorso dell’overload informativo: quanto influisce sulla validità di un contenuto il modo in cui è organizzato rispetto ad altri? E qual’è il rischio che ha un contenuto veramente di qualità di “perdersi” nel senso di non essere visto nel momento in cui dovrebbe?
Paradossalmente anche i tool di content curation come lo stesso Scoop.it o anche Paper.li possono generare overload informativo, il tutto a significare che il content marketing, composta da creazione a cura dei contenuti è una attività “umana”, un lavoro direi “artigianale” che perde efficacia se proposta su scale massificate con metodologie che puntano ad automatizzare gran parte del processo. Non basta un semplice click su un bottone condividi o un tool che una volta al giorno prende automaticamente un riassunto delle nostre pubblicazioni dai social: c’è bisogno di un lavoro costante e certosino fatto con intelligenza e sempre relazionandosi con i feedback.
E questo per quanto possa sembrare ovvio o scontato non viene recepito mai abbastanza.
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2 Marzo 2015 at 12:42Roberto Di Molfetta
20 Aprile 2016 at 04:32Non sapevo avesse il nome di content curation: spesso mi rendo per esempio conto che certi video si perdono su YouTube, mentre inseriti in un contesto giusto di un blog posso avere un ruolo emozionale diverso.