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Tim Burton e la strada dei progetti di micro-revenue per gli utenti di Internet

Il progetto lanciato da Tim Burton non è innovativo, si tratta della creazione di una storia con il contributo degli utenti di Twitter. La storia è quella di Stainboy, che visti gli utilizzi, è un vero e proprio avatar del regista.

Da Repubblica leggiamo che:

Per ispirarsi e conoscere meglio il protagonista della storia, Stainboy, basta navigare su internet dove si trovano tutte le opere con il personaggio creato da Burton, a cominciare dal testo in rima nel libro The Melancholy Death… che ha poi ispirato la serie animata realizzata dallo stesso regista espressamente per il web.

Stainboy è anche il personaggio che guida il visitatore del Tim Burton Gallery , il piccolo museo online dove si possono ammirare alcune sue opere, un sito per promuovere la vendita del volume The art of Tim Burton che raccoglie oltre mille illustrazioni in 430 pagine. Due le sale disponibili (una libera, l’altra richiede l’invio della propria mail) e per andare avanti bisogna cliccare sulle freccette e muovere Stain Boy che attaversa la galleria o, volendo, si sofferma su ogni quadro, che si ingrandisce sullo schermo.

Nei sei cortometraggi online invece il protagonista, Stainboy, lavora per la polizia di Burbank, in California, e all’inizio di ogni episodio viene coinvolto in indagini riguardanti persone particolari e bizzarre. La maggior parte di questi casi erano già apparsi nel libro, come La Bambina che fissava (Staring Girl), Persico, il bambino tossico (Roy, the Toxic Boy), Quel bidone di bambino (Robot Boy), Amore ardente (Stick Boy and Match Girl in Love), Jimmy, l’orrendo bambino pinguino (Jimmy, the Hideous Penguin Boy), La bambina con molti occhi (The girl with many eyes), Il bambino con i chiodi negli occhi (The boy with nails in his eyes) e Il bambino fontina (Brie Boy).

Il gioco, lanciato su Twitter, comincia con la chiamata ad un’indagine abbastanza strana, da qui il plot dovrà essere sviluppato dai tweet degli utenti (non da tutti, saranno scelti i migliori inviati fino al 6 dicembre). Tutti però vengono pubblicati sulla pagina del progetto Tim Burton’s Cadavre Exquis . Il progetto nasce per promuovere la mostra a lui dedicata al Toronto Film Festival .

Tralasciando le ovvie considerazioni sul buzz che ha scatenato questa scelta e quanto siano utili questi progetti per promuovere eventi dal basso, prendo spunto per concentrarmi su una questione più sociologica (ma anche filosofica e soprattutto economica).

Quanto questi progetti potranno in futuro considerarsi veri e propri lavori in crowdsourcing con micro-revenue per chi partecipa? E come potrebbe cambiare il mondo del lavoro, non solo nel cinema, se tutto ciò diventasse un vero e proprio modello?

Il collante creato dai grandi social network, che si tengono in piedi grazie alle informazioni che noi utenti inseriamo gratuitamente, ha finora portato profitti a chi questi network li ha creati.

Tenere in vita un network, fornire informazioni preziose, esserne in qualche modo un agente commerciale, dovrebbe essere considerato un lavoro. Anche perché senza gli utenti, strumenti come Facebook e Twitter non avrebbero ragione di esistere e nessuno sarebbe interessato a far pubblicità per raggiungere il proprio target, profilato grazie al fatto che doniamo tonnellate di informazioni senza curarcene.

Ho sempre sognato il web sociale come un mondo nel quale gli utenti potessero contribuire alla creazione di prodotti per i quali sono sempre stati usati come cavia (o target).

Progetti di crowdsourcing innovativi ce ne sono stati ma sempre per settori specialistici, chiunque abbia letto Wikinomics 2.0 può farsene un’idea. Il progetto Perfiducia 2.0 è un buon esempio italiano anche se si è mosso con metodiche differenti ed era a premi; cose simili si vedono con Zooppa ed altre piattaforme a noi note, ma non è abbastanza. All’inverso, le microdonazioni hanno avuto un buon successo con vari progetti di social lending e crowd fund raising come Zopa e Kiva.

Partire dal basso è una scommessa degna di questo nome e l’idea lanciata da Tim Burton sembra dare la prospettiva per un viatico che faccia diventare queste opere, creative ed estemporanee, un vero e proprio lavoro.

Il diabattito è anche vecchio. Una proposta del genere fu lanciata da Anil Dash (vicepresindente di Six Apart) nel 2005 e possiamo trovarla su Wikinomics 2.0 a pag. 235. Dash sosteneva che Flicrk avrebbe dovuto ricompensare coloro che contribuivano a tenere vivo il sito grazie alla pubblicazione di foto in base alla popolarità.

La co-fondatrice di Flickr ribatteva che esistono sistemi valoriali alternativi ai soldi che hanno grande importanza per le persone, come il contatto con gli altri, l’identità online e la libertà di esprimersi, definendo la cultura della generosità la vera ossatura di Internet.

Risorse come tempo e creatività (che le imprese amano monetizzare) sono concesse gratuitamente da milioni di utenti.

Molti (tra cui il sottoscritto) sono convinti del fatto che questa cultura della generosità (che forse ha molto a che fare con l’economia della felicità) nasconda una vera natura basata sullo sfruttamento.

Sempre da Wikinomics 2.0:

Jeff Jarvis […] osserva che anche il semplice gesto del consumo, in questo nuovo mondo rappresenta un atto creativo. Effettuare una ricerca su Google, attribuire dei tag ai bookmark su del.icio.us e condividere le proprie fotografie tramite Flickr sono attività che arrecano vantaggi personali ma anche benefici collettivi.
Tali benefici offrono un’esperienza di navigazione più ricca e rafforzano la “saggezza della folla”. Questa nuova saggezza[…]potrebbe contribuire persino all’aumento della performace pubblicitaria.

La proprietà di questa saggezza collettiva appartiene alla folla e le piattaforme come Google, Technorati e Yahoo (aggiungo io Facebook e Twitter), si limitano a prenderla in prestito. E possono farlo, osserva Jarvis, solo se contuano a godere della fiducia della folla e spartiscono i ricavi con essa.

[…]Potrebbe avere inizio una nuova era basata sul microbusiness via Internet […].

Ed è qui che volevo arrivare. Proviamo ad immaginare cosa cambierebbe quindi nella nostra società se:

  • Google mettesse a contratto gli utenti per segnalare siti web ben posizionati ma per niente utili;
  • Twitter e Facebook mettessero a contratto gli utenti che condividono le informazioni migliori e fossero; utilizzati a livello creativo da società esterne per progetti come quello di Tim Burton;
  • Flickr pagasse gli utenti più attivi o premiasse le foto più belle;
  • Del.icio.us mettesse a contratto coloro che gestiscono i migliori social bookmark;
  • Grandi imprese e grandi Brand assumessero a tempo pieno i fan che condividono più spesso argomenti che li riguardano;
  • Friendfeed pagasse tutti coloro che partecipano alla gara di “Pettegola del Web 2.0” 😛

Cosa hai visto? Io, una società più ricca e migliore, anche se ovviamente numerosi problemi (dovuti anche ad un digital divide non ancora debellato) potrebbero scaturire da queste nuove forme di economia.

Ti piacerebbe ricevere un compenso per il tempo che spendi su Internet creando nuovi contenuti e rendendoti utile nelle piattaforme che utilizzi di solito? A me si.

P.S.

Se conosci realtà del genere ti prego di segnalarcele.



Nel 2009 crea Socialmediamarketing.it. Web marketing manager, con passione per SEO, Social e Google Ads. Formatore aziendale. Laureato in comunicazione nel 2006 con tesi sullo User generated advertising.

3 Comments
  • Alessandro Cappellotto
    3 Dicembre 2010 at 10:11

    Interessante articolo. Il tema delle micro-revenues è centrale nel crowdsourcing, dove per revenues si intende certamente denaro, ma anche opportubnità. Insomma, il do ut des. Sorprendentemente questo aspetto è molto sottovalutato dalle aziende attirate dal crowdsourcing, si è diffusa un’idea sbagliata di internet, come il regno del gratis e della donazione a perdere che è semplicemente sciocca e irrealistica. Pensando di fare crowdsourcing senza investire adeguatamente e senzxa valutare il do ut des molte aziende si sono scottate e hanno dichiarato l’inefficacia del metodo. Forse dovrebbe riflettere se hanno opportunamente considerato tutte le variabile in gioco, specialmente la più importante: il valore percepito dall’utente.

    • Jose Gragnaniello
      3 Dicembre 2010 at 10:42

      Vero, ma per cambiare le cose dovrebbe nascere un movimento tipo “Premio Nobel per Internet”. Sfortunatamente questo blog non è Wired ed io non sono Riccardo Luna 😀

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