
Perché Washington Post e Guardian abbandonano Facebook
Chi ha avuto la fortuna di leggere l’illuminante libro The Filter Bubble: How the New Personalized Web Is Changing What We Read and How We Think, non si stupirà per questa decisione.
Il libro di Eli Pariser mette in evidenza un problema grande, soprattutto per chi vive di informazione fruita in Rete: la selezione “naturale” delle notizie che legge. Quello che accade oggi con Facebook e Google è importante. Ciò che leggiamo sul social network e ciò che cerchiamo sul motore dei motori è soggetto ad un filtro che crede di conoscerci.
Il filtro di Facebook, frutto di un complicato algoritmo basato sulle relazioni (in termini di like, condivisioni, commenti e tempo speso) con pagine fan e amici, ci mostra fondamentalmente contenuti con i quali interagiamo maggiormente, nascondendo poco a poco ciò con cui interagiamo di meno (ma non è detto che non ci interessi).
E’ questo il caso relativo alle app frictionless.
Il Guardian e il Washington Post, tra i primi a sperimentare queste app, hanno deciso che è il caso di abbandonare questa modalità, perché un giornale che deve informare in toto il proprio lettore non può essere soggetto a filtri.
I filtri selezionano e, selezionando, riducono.
Pur non avendo una dichiarazione ufficiale di Facebook, è facile dedurre che le riduzione in termini di visibilità di un post legato alle interazioni degli utenti è un buono sprone per indurre all’acquisto di Sponsored Post che, previo pagamento, aumentano la visibilità di un singolo post (con una possibilità di analisi sugli utenti realmente raggiunti poco professionale). E questo è sicuramente un motivo per cui Guardian e Washington Post hanno deciso di salutare la piattaforma social.
A ciò si aggiunge un problema legato alla privacy, infatti, come fa notare Paolo Bottazzini su Linkiesta: “Nel momento in cui un lettore sottoscrive la registrazione, non viene invitato a notare che il form pre-seleziona l’opzione meno attenta alla tutela della privacy, e che dispone il Sistema a divulgare pubblicamente tutti i clic compiuti dall’utente.”
Trascorsa una fase iniziale in cui Facebook ha raccolto una grande mole di utenti poco esperta di dinamiche di rete e quindi poco attenta a questi particolari, ci avviamo verso un periodo dove, sempre più, il singolo utente cercherà di centellinare la visibilità delle attività compiute online e le due grandi testate non vogliono rischiare ricadute in termini di immagine.
Per questo, i lettori del Washington Post Social Reader verranno reindirizzati su www.socialreader.com. Qui potranno evitare il login su Facebook, mentre chi vi vorrà accedere, avrà ampie possibilità di gestione della propria privacy potendo scegliere cosa mostrare e cosa nascondere ai propri amici.
Tempi difficili per il marketing su Facebook?
Non direi, ma negli ultimi tempi si è teso ad accentrare tutte le attività di comunicazione online su questo social network, dimenticando che la base dei propri seguaci va costruita su una piattaforma proprietaria (che può essere essa stessa un social network). Facebook è sicuramente una grande spinta per la visibilità online ma non dobbiamo credere o, peggio, far credere che sia la panacea di tutti i mali per poi dover far marcia indietro qualche tempo dopo.